IL GHETTO DI VARSAVIA

COME AVVIARE UNA DISTRUZIONE DI MASSA

SENZA SPORCARSI LE MANI

Fino alla Seconda Guerra Mondiale a Varsavia si trovava la più grande comunità ebraica europea e l’area dell’Europa Orientale vedeva la più grande concentrazione di comunità ebraiche. E’ quindi aturale che il Ghetto di Varsavia – con gli ebrei della città e della regione  – fosse il più affollato: ad un certo momento ben  500,000 infelici in un’area ristretta della città, con razioni da fame e in condizioni igieniche disastrose atte solo a favorire la diffusione di epidemie mortali.

La vita del Ghetto di Varsavia e la disperata lotta di un gruppo di combattenti è stata rappresentata anche nel film “Il Pianista” e in vari programmi televisivi di storia.

Dallo studio della storia del Ghetto di Varsavia emergerà il ruolo dell’Amministrazione Civile e dei tecnici della produttività nell’avviare una distruzione di massa ma, apparentemente, senza sporcarsi le mani.

 

  1. DALL’ANTISEMITSMO DEI NAZIONALISTI POLACCHI AL GHETTO CHIUSO DAI NAZISTI.  

La storia del Ghetto di Varsavia, come pure degli altri ghetti polacchi, ha inizio nell’anno 1936 quando il governo nazionalista semifascista polacco decretò lo scioglimento dei regolari organi elettivi delle comunità ebraiche e la loro sostituzione con personaggi – indubbiamente di buona volontà – ritenuti più accondiscendenti verso il regime. Questo atto di prepotenza deve essere inquadrato nel contesto storico di una nuova ondata di violenze antisemite – diversi morti - iniziata nel 1935 e alle reazioni di varie organizzazioni ebraiche di autodifesa.

E’ appena il caso di ricordare, per una migliore comprensione della situazione, le prese di posizione da parte cattolica, nel 1936, a favore di misure discriminatorie contro gli Ebrei e il tentativo dei nazionalisti polacchi - giugno 1937 - di ottenere dal governo francese la possibilità di deportare un milione di ebrei verso l’Isola di Madagascar.

La maggioranza dei gruppi e partiti ebraici assunsero la posizione, “politicamente corretta” della “non partecipazione” e boicottarono i dirigenti comunitari immessi dal regime nazionalista polacco.

Fra coloro che non seguirono gli ordini di boicottaggio dei loro gruppi, per non lasciare andare in rovina le istituzioni assistenziali ebraiche che dovevano essere amministrate oculatamente, c’era Adam Czerniakow, che nel 1939 sarebbe diventato il Capo del Consiglio Ebraico del Ghetto di Varsavia.

Nel settembre 1939 il sindaco di Varsavia assediata riconobbe Czerniakow quale Presidente del Comitato Ebraico di Assistenza, formato dai rappresentanti delle unioni di artigiani e commercianti e da dirigenti sionisti.

Già il 21 settembre 1939 il capo del Servizio di Sicurezza (SD) Heydrich ordinò di formare in Polonia degli “Judenrat”/Consigli Ebraici, quasi quale anticipazione dell’analogo ordine, del 28  novembre 1939, emanato dal Governatore Generale Hans Frank.

A Varsavia il “Consiglio Ebraico” venne costituito, su ordine della Polizia di Sicurezza (SD), ai primi di Ottobre 1939. Il 4 Novembre 1939 la stessa Polizia di Sicurezza – forse volendo creare un fatto compiuto prima di cedere competenze – con un azione di forte intimidazione (anche con presa di ostaggi) ordinò il trasferimento entro 3 giorni di tutti gli ebrei di Varsavia in un’area da designare quale “ghetto ebraico”. Per i membri del Consiglio la situazione era tragica; Artur Zygelboym propose di opporre un netto rifiuto, prevalse la linea più pragmatica e una delegazione si recò dal comandante militare della città che affermando di essere del tutto all’oscuro di un simile ordine, disse di restare in attesa di un riesame. La Polizia di Sicurezza, SS, convocò Czerniakow accusandolo di essersi rivolto arbitrariamente ad altra autorità germanica; seguirono maltrattamenti fisici ma poi l’ufficiale SS fece qualche nuova concessione come l’allargamento del perimetro previsto per il Ghetto. Alla vigilia del termine fissato per il trasferimento di massa nell’area designata come Ghetto si ebbe una drammatica seduta del Consiglio Ebraico: Zygelboim era per la resistenza passiva, prevalse però l’esigenza di evitare rappresaglie da parte nazista. All’improvviso l’ordine di trasferimento nel Ghetto venne revocato. Sembrò il risultato dell’azione, sia coraggiosa che pragmatica, di Czerniakow; in effetti, come si vedrà in seguito, il trasferimento obbligatorio nel Ghetto venne solo rimandato.

Per decisione di Hitler la parte centrale della Polonia – da Cracovia a Varsavia e Lublino – venne organizzato sotto la denominazione Governatorato Generale con il gerarca Hans Frank Governatore Generale a capo di un’amministrazione civile che intendeva attuare l’azione antiebraica in un modo ordinato ed efficace e le improvvisazioni dei Servizi di Sicurezza dell’SS non entravano in questo quadro. Ciò spiega le ragioni per il ritiro dell’ordine per l’immediata creazione dell’area del Ghetto Ebraico. Nel suo “discorso programmatico” Frank,infatti, chiarì che non esisteva nel Governatorato Generale un’autorità indipendente dal Governatore Generale che era il solo a rappresentare il Fuehrer e che ciò valeva anche per i Servizi di Sicurezza /SD) e la SS.

Con un’ordinanza del 28 novembre 1939, Frank regolò nuovamente, secondo i propri criteri i Consigli Ebraici (Judenrat) avviando cosi la sistematica azione antiebraica basata su lavori forzati, razioni alimentari da fame, progressivo concentramento della popolazione ebraica in aree ristrette e degradate delle città con conseguente sovraffollamento e pessime condizioni igieniche; la chiusura venne spesso motivata con il pericolo di epidemie. Seguirono le deportazioni dai ghetti chiusi verso i campi di sterminio. Nel 1943 Hans Frank poté dire disse ad un convegno di ufficiali e gerarchi .“la maggior parte degli Ebrei è, diciamo cosi, emigrata”.

La storia del Ghetto di Varsavia è basata su documenti ritrovati dopo la guerra,che autori come Lucy Dawidowicz e Raul Hilberg hanno potuto utilizzare. Specialmente la documentazione raccolta e pubblicata da Hilberg dimostra come la distruzione di una popolazione possa venire attuata, con grande efficienza, da un’amministrazione civile che lascia alla polizia e a varie milizie il compito di sporcarsi le mani con deportazioni e stragi.

All’inizio di novembre 1939, da una parte venne revocato l’ordine della Polizia di Sicurezza (SD) dell’immediato trasferimento in un’area denominata Ghetto ma dall’altra il comandante militare definì un quartiere della città, abitato prevalentemente da ebrei “zona a pericolo di epidemia” dove i soldati tedeschi non dovevano entrare. Sempre il 7 novembre 1939 il Governatore del Distretto di Varsavia, Fischer, propose a propria volta l’istituzione del Ghetto, tenendo però conto dei vari problemi che la chiusura di una zona centrale comportava per la città: deviazione di linee tranviarie e del traffico automobilistico e le possibili ripercussioni della costruzione dei muri di cinta sulle linee idriche, elettriche e del gas. Il fatto che la maggior parte degli artigiani di Varsavia erano ebrei poneva qualche problema, quello dell’approvvigionamento alimentare di un’area chiusa venne considerato per ultimo.

Ad un certo punto la pianificazione del muro di cinta da erigere intorno al Ghetto venne sospesa; si esaminava, infatti, la possibilità dl trasferimento della popolazione ebraica di Varsavia nell’area di Lublino. Successivamente si discusse la possibilità di creare due ghetti in due aree distinte della città allo scopo di limitare ad un minimo le ripercussioni su economia e traffico. Il 16 luglio 1940  Czerniakow annotò nel suo diario che il Ghetto non sarebbe stato più creato. Per ovvia mancanza di informazioni, Czerniakow non poté fare i conti con la Divisione Sanità che, Agosto 1940, aveva chiesto la creazioni di ghetti nell’Area di Varsavia “per il grande concentramento di truppe in zona”; gli altri uffici erano d’accordo in via di principio ma si dichiararono contrari ad una chiusura totale “per ragioni di autosufficienza economica”. All’inizio di settembre 1940 la Divisione Sanità sottopose al Governatore Generale statistiche sulla diffusione del tifo nella popolazione ebraica ed ottenne cosi la creazione del Ghetto chiuso a Varsavia.

Al momento della proposta del Governatore Fischer del 7 novembre 1939 a Varsavia si trovavano circa 300.000 ebrei mentre, a settembre 1940, al momento dell’ordine del Governatore Generale Frank, vi si trovavano oltre 500.000, essendosi aggiunti coloro che erano stati cacciati dai villaggi e cittadine del Distretto. La superficie del Ghetto prevista nell’ordine di Frank era di circa due terzi di quella della “zona a pericolo di epidemia”stabilita dal Comando Militare nel Novembre 1939. La Divisione Sanità doveva essere consapevole che cosi erano state create le condizioni favorevoli alla massima diffusione del tifo e di altre epidemie. La burocrazia medica nazista - responsabile per l’eutanasia e per le selezioni nei Lager – è quindi responsabile anche della creazione consapevole di condizioni di degrado igienico che favorivano la diffusione delle epidemie mortali nel Ghetto di Varsavia, come pure negli altri Ghetti.

 

2. TENTATIVO DI SOPRAVVIVENZA

Al più tardi il 26 settembre 1940 – nei giorni delle grandi solennità ebraiche – Czerniakow ebbe la notizia della decisione tedesca di creare il ghetto chiuso, che venne allestito in circa sei settimane.

Per esigenze economiche erano inizialmente previsti 28 punti di transito che, su richiesta della Direzione Sanità presso il Governatore del Distretto, vennero ridotti a 15.

La vigilanza all’esterno era affidata alla Polizia Germanica con rinforzi di poliziotti polacchi e, in seguito, ucraini. All’interno agiva il Servizio d’Ordine del Ghetto – 2000 uomini – al comando dell’ex Tenente Colonnello della Polizia Polacca Szerinsky che si era convertito al Cattolicesimo durante gli anni della Repubblica Polacca quando un ebreo, per poter fare carriera, doveva “sistemare la propria posizione confessionale”. Ciò porta ai casi analoghi in altri settori del Ghetto dovendo il Consiglio Ebraico gestire diversi servizi pubblici e affidarne la direzione a persone che avevano acquisito le necessarie competenze tecniche in impieghi pubblici. Il Ghetto non era una “Comunità Ebraica” ma una “Comunità Coatta” della quale facevano parte anche coloro per i nazisti erano ebrei ma non lo erano più dal punto di vista religioso.

L’istituzione dei Ghetti comportava il netto taglio dei contatti diretti, anche di approvvigionamento e di lavoro fra ebrei e il mondo circostante. Il Consiglio poteva avere contatti solo con l’apposito ufficio del Governatorato del Distretto di Varsavia che, a propria volta, aveva i rapporti con i vari committenti per lavori e forniture e le altre amministrazioni. E il Consiglio, che doveva risolvere i problemi, aveva cosi le mani legate.

A differenza di altri Ghetti, nel Ghetto di Varsavia le aziende produttive ancora esistenti dopo la crisi economica degli anni trenta e dopo le liquidazioni coatte ordinate nel 1939 erano ancora imprese private. Alcune fonti parlano della posizione dominante della ditta “Kohn und Heller”, che, fra altro, era concessionaria della linea tranviaria esistente nel Ghetto. Si aveva la circolazione della moneta cartacea polacca, lo Zloty, e il Consiglio doveva esigere varie tasse e imposte per poter funzionare i vari servizi ed erogare i miseri sussidi ai,troppi, bisognosi.

C’erano persone che disponevano ancora di riserve di denaro e altre, in maggioranza, prive di mezzi e c’erano persone occupate e altre, in maggioranza, prive di occupazione. In seguito si ebbe pure la distinzione importante fra chi aveva solo un qualche lavoro e chi invece aveva un lavoro che dava la qualifica di “lavoratore necessario”.

Negli uffici del Governatorato del Distretto di Varsavia l’autosufficienza economica del Ghetto era ritenuta impossibile, però l’erogazione di sovvenzioni era ritenuta assurda. Il Consiglio doveva quindi ottenere autorizzazioni a contrarre “prestiti” ad interesse a valere sui fondi confiscati agli stessi Ebrei. Nella primavera del 1941 – prima dell’attacco all’Unione Sovietica – in una riunione presieduta dal Governatore del Distretto di Varsavia Fischer si disse che il “Ghetto non era questione liquidabile in un anno … per cui si doveva pensare in termini di tempi più lunghi al rapporto fra Ghetto e il sistema economico polacco … e alla competizione fra il Ghetto e aziende polacche per ottenere l’assegnazione di materie prime”. La morte per fame della popolazione era considerata un’opzione possibile.

Il risultato di questa politica tedesca veniva riassunto da un giornalista nazista nel novembre 1941 in questi termini: “Tutti coloro che contano in questo Ghetto … danno l’impressione di vero benessere e chi lavora ha da mangiare e chi sa trafficare sta veramente bene. Per coloro che non sono in grado di inserirsi in questo processo non viene fatto nulla”. Secondo la ben nota tecnica

giornalistica non venne menzionato che “coloro … non in grado di inserirsi …” erano in maggioranza nel Ghetto e che il Consiglio, avendo le mani legate, poco o nulla poteva fare per loro.

Nel Ghetto di Varsavia il tasso di mortalità cresceva di mese in mese; all’inizio 1941 era lo 0,63% mensile ma fine anno era ormai all’ 1,47%. Per epidemie e inedia si moriva nel letto ma anche

crollando per strada. Il Governatore Fischer osservò che le “salme per strada davano una pessima impressione”.

Subito dopo aver ordinato la creazione del Ghetto di Varsavia, il Governatore Generale Hans Frank ammise in una riunione che in Polonia gli Ebrei erano anche un ceto artigiano non sostituibile e che era pertanto necessario continuare a far lavorare gli artigiani ebrei. In seguito Frank venne però contraddetto dai tecnici dell’Ente Tedesco per la Produttività (RKW) che dichiararono il lavoro ebraico non sufficientemente produttivo. Ciò mentre i lavoratori ebrei, per poter sopravvivere, facevano grandi sforzi per rendersi indispensabili all’economia bellica tedesca.

Nel corso dei mesi lo “Ufficio Scambi” ottenne sempre più commesse per le aziende del Ghetto con il continuo aumento degli occupati. Nel mese di luglio 1942 venne finalmente raggiunto con 95000 occupati il livello minimo di autosufficienza economica calcolato dal Governatorato Generale, sul quale però i tecnici della produttività (RKW) dissentivano.

Czerniakow - che fin dal gennaio 1942 registrava sul proprio diario segnali e notizie inquietanti – il 22 luglio 1942 ricevette da un Capitano SS l’ordine della deportazione di 6000 persone al giorno per un “re-insediamento all’Est” non meglio specificato. La vera destinazione prevista era il campo di sterminio di Sobibor ma per problemi della linea ferroviaria i trasporti vennero avviati verso il campo di sterminio di Treblinka.

L’ordine per le deportazioni prevedeva l’esenzione di alcune categorie; Czerniakow ottenne che altre due categorie venissero esentate ma alla sua richiesta per l’esenzione dei bambini orfani ebbe un netto rifiuto. Czerniakow – la moglie era tenuta in ostaggio – non resse più e prese la capsula di veleno che teneva pronta fin dall’ottobre 1939. Anche chi lo aveva prima criticato rese omaggio a Czerniakow un personaggio tragico che si era trovato di fronte a cose troppo grandi per tutti. Czerniakow aveva studiato in un politecnico in Germania e conosceva quindi il modo di parlare e di ragionare dei tedeschi antisemiti, un’esperienza che mancava a molti dei suoi collaboratori e altri dirigenti ebrei; ciò deve essere considerato quando si discute – nessuno può giudicare - sull’operato del Consiglio nelle settimane infernali dopo il 23 luglio 1942, un periodo di tempo sul quale si hanno molte dicerie e pochi dati concreti:

  1. All’inizio delle deportazioni – 23 luglio 1942 – nel Ghetto di Varsavia languivano circa 380000 infelici mentre, secondo stime, a metà settembre 1942 erano rimaste circa 70.000 persone, molti giovani nelle classi da 20 a 39 anni.

  2. Le deportazioni avvennero in varie fasi. Si cominciò ad invitare la gente a presentarsi volontaria con il premio di razioni extra di pane e marmellata; molti pensarono di restare insieme alla famiglia in momenti difficili e risposero all’invito. In seguito si ebbero retate con verifiche dei “permessi di lavoro” e si passò poi a “sfoltire i reparti produttivi”. All’inizio di settembre 1942

coloro che erano ancora rimasti – circa 120000 - vennero radunati sul “Piazzale degli Scambi”; chi non risultò essere “lavoratore necessario” venne immediatamente inviato al trasporto

  1. Al numero dei deportati deve essere aggiunto quello di coloro che in quelle settimane erano morti per fame e malattie come pure quello di coloro che vennero colpiti a morte mentre tentavano la fuga.

  2. Il Comandante Militare dell’Area del Governatorato Generale illustrò in una memoria gli effetti; negativi – venivano a mancare i lavoratori qualificati - sulle produzioni di interesse militare del brutale modo di procedere del SS; nel giro di pochi giorni venne destituito.

La popolazione rimasta nel Ghetto a metà settembre 1942 – come visto, circa 70000 persone con la prevalenza di giovani nelle classi da 20 a 39 anni – era la parte più atta al lavoro che alla lotta e fra loro in molti avevano lo spirito di domandarsi: “come era stata possibile in poche settimane la deportazione di oltre 300000 persone ad opera di poche centinaia di circa 500 uomini fra SS e gli ausiliari ucraini e lettoni”. Senza conoscere le risposte che vennero date allora si può osservare che i persone deboli e angosciate - anziani, donne, bambini, malati - pure deperite per fame non hanno né la necessaria forza fisica né quella psicologica, per resistere a brutali prepotenze da parte di uomini forti e armati. Secondo alcune fonti, già all’inizio dell’ondata di deportazioni qualcuno tra i dirigenti del fronte clandestino disse chiaramente che una resistenza sarebbe stata possibile solo dopo che le persone deboli fossero state deportate; è l’esperienza che deriva dalla storia di molti assedi di città.

 

3. LA RIVOLTA E IL MARTIRIO..

Per organizzare la resistenza era necessario un fronte comune che poté costituirsi solo dopo lunghi negoziati fra i gruppi politici presenti nel Ghetto, comunisti, lavoratori socialisti, sionisti di vario orientamento; vennero esclusi i sionisti revisionisti seguaci di Jabotinski. Questo fronte comune, una volta costituito, doveva ottenere appoggio dalla resistenza polacca, divisa tra i nazionalisti che dipendevano dal governo polacco in esilio a Londra e i comunisti di obbedienza sovietica, fra le due parti c’era ovviamente rivalità. Poco aiuto – forniture di armi – potevano dare i comunisti e un po’ di più diedero i nazionalisti che, importante, trasmisero a Londra i drammatici messaggi del Ghetto.

Come inizio della vera lotta di resistenza armata può essere considerato il 19 gennaio 1943, quando all’ingresso del SS per una nuova retata nel Ghetto, i resistenti spararono colpi di arma da fuoco e un ufficiale della polizia tedesca venne gravemente ferito. Nel corso di quell’azione i militi SS e i loro ausiliari riuscirono a deportare solo 6500 persone; 1171 persone vennero uccise. Il comando SS di Varsavia dovette ormai considerare concretamente la resistenza da parte ebraica come pure possibili azioni diversive della resistenza polacca nelle vicinanze del Ghetto.

L’attacco venne fissato per il 19 aprile – forse per la coincidenza con la festività ebraica di Pesach – e il Ghetto venne circondato di notte. Al primo mattino venne lanciato l’attacco ma le truppe SS vennero accolte con un’intensa sparatoria e i carri armati vennero colpiti con bottiglie incendiarie; le perdite subite consigliarono al comando SS un primo ritiro. Ad un nuovo attacco lanciato nella giornata la resistenza rispose con un nutrito fuoco di mitra. Al comando SS apparve chiara la difficoltà di occupare il Ghetto in breve tempo e ordinò un nuovo ritiro. I combattimenti proseguirono nei giorni seguenti – 20 e 21 - ma la resistenza ebraica riuscì a difendere le fabbriche. A questo punto il comando SS decise di incendiare le fabbriche e i resistenti dovettero gettare materassi prima di lanciarsi per sfuggire alle fiamme. Un’altra via di fuga tentata dagli Ebrei era la rete fognaria. Dopo il 22 aprile 1943 gli SS distrussero sempre più fogne e ricoveri sotterranei dove le persone già

entravano in crisi per effetto di calore, fumo e esplosioni; i genieri Wehrmacht fecero esplodere gran parte degli accessi alla rete fognaria.

All’inizio di maggio il Ghetto era ormai in fiamme dove solo piccoli gruppi di resistenti riuscirono a resistere; molti morirono nei bunker sotterranei soffocati dalle macerie. Un gruppo di resistenti riuscì ad uscire dal Ghetto attraverso un accesso della rete fognaria, impadronirsi di un camion e fuggire da Varsavia. Fino a metà maggio si ebbero ancora sparatorie sporadiche.

Il 16 maggio 1943, alle ore 20,15, il Generale SS Stroop comunicò la fine dei combattimenti e fece saltare in aria una Sinagoga che si trovava fuori del Ghetto; nel suo rapporto finale parlò di 16 morti e 85 feriti.

Degli Ebrei catturati in quella battaglia circa 7000 vennero fucilati, molti portati a Treblinka e negli altri campi di sterminio dell’Area di Lublino gli altri scomparvero nei vari campi di lavoro coatto.

Quanto era ancora rimasto del Ghetto – rovine di edifici e ricoveri sotterranei – venne spianato su ordine di Himmler.

La battaglia fra un gruppo di resistenti, non addestrati adeguatamente, male armati e affamati e le unità ben armate, addestrate e rifornite dell’SS era durata (dal 19 aprile al 16 maggio) ben 28 giorni.

 

 

 

Wolf Murmelstein

 

 

14.11.2008